Creare e diffondere contenuti di valore non basta. Non basta nemmeno farli arrivare ai nostri potenziali clienti. Eppure è così che è stato interpretato il Content Marketing da molte aziende. Il problema è semplice: in questo modo non arriveranno risultati.
Manca infatti una componente commerciale perché se è vero che i contenuti devono essere fruibili gratuitamente, è anche vero che per trasformare un lettore in un cliente bisogna andare oltre il semplice contenuto informativo.
In questa puntata spiego cosa possiamo imparare dal mondo dell’informazione e cosa possiamo imparare da chi si occupa di vendita (online e offline).
In questa puntata…
3.33’’ L’equilibrio tra il mondo commerciale e il mondo dei contenuti
5.03’’ Cosa succede se questi due mondi sono sbilanciati
8.21’’ L’importanza di tenere in considerazione il contesto in cui si lavora
9.15’’ Il contenuto che riesce ad informare e vendere contemporaneamente
9.45’’ Cosa si può imparare dal giornalismo tradizionale
10.10’’ La capacità essere sintetici e rendere notiziabili i contenuti
13.12’’ Cosa si può imparare dai media online
13.57’’ La capacità di generare traffico
16.09’’ Cosa si può imparare dai business online
16.40’’ La capacità di vendere i propri prodotti
19.40’’ Le leve argomentative più forti
20.52’’ L’importanza di parlare delle tematiche scomode
25.20’’ Come sensibilizzare le persone grazie ai contenuti
33.36’’ Come guadagnare fiducia e interesse
Quella che segue è una trascrizione parziale della puntata.
Non basta un contenuto per fare Content Marketing. Non basta neppure un contenuto di grande valore, come non basta un blog, un canale YouTube, un podcast, un libro o una rivista proprietaria. Non bastano nemmeno tutte quelle azioni di marketing che di solito accompagnano i contenuti: una landing page, un’offerta a tempo o una campagna di email marketing.
Quelli elencati sono tutti elementi preziosi in una strategia di Content Marketing, ma da soli non bastano per fare Content Marketing.
Il reale equilibrio tra questi due mondi – quello più commerciale di vendita e quello contenutistico di informazione e divulgazione – è l’oggetto della puntata 118 di Content Marketing Italia.
Il Content Marketing crea equilibrio tra chi produce contenuti e chi vende con un costante bisogno di convertire. Mette assieme queste due realtà che fino a ieri erano completamente separate.
Fino a ieri, chi in azienda si occupava di comunicazione non aveva nulla a che vedere con le vendite.
Il marketing era a cavallo di queste due realtà, ma non sempre riusciva a coordinarsi. In realtà ancora oggi ci sono aziende dove il marketing non ha nessun legame e non ha nessun contatto con chi vende e viceversa.
In pratica, il marketing dei contenuti – ovvero ciò che facciamo online con blog, YouTube, social ecc. – ha un ruolo delicatissimo: mantenere in equilibrio questi due mondi.
Cosa succede se questo equilibrio viene sbilanciato?
Insistere troppo sulla vendita non farà percepire il valore dell’offerta anche in presenza di una proposta valida perché se i contenuti saranno inconsistenti sarà difficile portare le persone a fidarsi e non ci saranno risultati.
Se sbilanciato dalla parte opposta invece, darà troppe informazioni senza mettere in atto azioni di marketing e questo non produrrà alcuna conversione.
Concepire la propria strategia di Content Marketing come se fosse un’attività di vendita con quel delirio autoreferenziale fatto di “il nostro prodotto, caratteristiche, prezzo, offerta…” non fornisce nessuna motivazione reale per farmi dire “sì, mi fido e mi avvicino” oppure “sì, adesso ti dò i miei soldi”. Dinamica quest’ultima che arriva come conseguenza naturale della fiducia creata con i contenuti.
È infatti molto più difficile ottenere tempo e fiducia dalle persone che ottenere i loro soldi.
Quindi, quando si è sbilanciati dalla parte della vendita i clienti non si sentono attratti dalla nostra comunicazione e istintivamente si allontaneranno.
Non è difficile sperimentare questa sensazione. Navigando online su pagine Facebook e blog di aziende vedremo che da alcune scappiamo istintivamente, mentre in altri casi veniamo attratti.
Il secondo errore è altrettanto pericoloso perché non è solo uno sbilanciamento verso la vendita il pericolo, anche un eccesso di informazione può diventare un limite. Quindi, vendere o informare di per sé non sono attributi positivi o negativi, ma lo diventano nella misura in cui li dosiamo in ogni contesto. Proprio come qualsiasi forza della natura, come l’acqua, il fuoco, il vento ecc.
Saranno “cattivi” o “buoni” a seconda di come riusciremo a incanalare quell’energia. Ecco perché il “contenuto di valore” – o chiamatelo come volete – non è buono a prescindere.
Per un’azienda non è una cosa buona costruire una comunicazione come quella di Wikipedia perché non otterrà i risultati sperati a fronte di molti sforzi (nonostante il servizio che offre Wikipedia è costretta a richiedere donazioni per sopravvivere e questo non è certo il modello a cui può aspirare un’impresa commerciale).
Wikipedia ha un altro modello di business e per un’azienda adottare quell’approccio sarebbe dannoso, sarebbe una follia.
Ricapitolando:
la vendita che mira a una conversione diretta senza contenuto è follia
i contenuti di valore che hanno come unica finalità informare senza azioni che mirano alla conversione diretta sono follia.
Solo la comprensione chiara del contesto può aiutarci davvero a determinare il valore della nostra comunicazione. È il contesto che determina il valore della singola azione (contenuti, informazione, vendita, conversione ecc…)
Un cerino acceso mentre stai facendo il pieno di benzina non ha lo stesso valore di un cerino acceso quando devi accendere il camino.
Il suo valore è sempre quello, ma il contesto ne determina le conseguenze che nel business chiamiamo risultati.
Vale lo stesso per il modello “Aranzulla” che è un modello di assoluto e indiscusso successo per chi vuole operare nel mondo editoriale, il suo è un business editoriale perché non si tratta di un’azienda che fa Content Marketing. Lo scopo in quel caso è quello di generare traffico per vendere pubblicità e guadagnare con le affiliazioni. Non è il lavoro che fanno le aziende perché l’azienda che fa bulloni non deve generare traffico fine a sé stesso, ma un traffico di persone interessate ai bulloni. Una volta che arrivano sul sito non deve tenere i visitatori inchiodati alla pagina per far crescere il tempo di permanenza e vendere la pubblicità: una volta che arrivano sul sito deve fare in modo che comprino bulloni. Quindi è bene mettere le cose nel loro scaffale altrimenti faremo una gran confusione.
Che contenuti servono alle aziende?
Quello che serve è un contenuto capace di diventare l’oggetto dell’interesse per i lettori (con informazione, provocazione di riflessioni, formazione ecc) ma che contenga una componente di vendita per convertire l’interesse generato in qualcosa di più.
Per mantenere l’equilibrio tra questi due mondi ci sono alcune cose che possiamo imparare.
Imparare a fare Content Marketing dai giornalisti
L’informazione tradizionale può insegnare moltissimo a chi fa Content Marketing.
Questo non significa che basti un giornalista per fare Content Marketing. Alcune delle cose che i giornalisti fanno da sempre a noi sono utilissime come la capacità di sintesi che hanno in alcune parti della comunicazione.
Sono preziosi elementi come:
- titolo
- sottotitolo
- occhiello
- incipit dell’articolo
Quella loro capacità di andare dritti al punto e di vedere la notizia in ogni situazione è preziosa. Quando parli con un giornalista e gli spieghi qualcosa della tua azienda o del tuo nuovo prodotto, il suo pensiero fisso sarà: dov’è la notizia? Dov’è il titolo?
Questo accade perché per deformazione professionale il giornalista pensa al titolo. Si chiede “quale è quella cosa eclatante che dovrò scrivere o dire per fare in modo che chi sta dall’altra parte spalanchi gli occhi e apra le orecchie?”
Il loro scopo è fare in modo che il lettore percepisca che c’è qualcosa di importante a cui prestare attenzione e i nostri contenuti dovrebbero imparare a fare proprio questo.
In questo senso, se anche noi iniziassimo a fare contenuti con questo tipo di approccio sul blog, sul podcast e su ogni altro canale, cominceremo a individuare e a dare priorità a quegli elementi che di fatto fanno spalancare gli occhi alle persone perché il giornalista ha capito da un pezzo che le persone non leggono tutto il quotidiano e nemmeno tutto l’articolo e la priorità è proprio quella di fargli spalancare gli occhi.
Un giornalista che scrive su un quotidiano ad esempio, non lotta in una competizione con le altre testate. Lotta in una competizione con i giornalisti dello stesso quotidiano perché quando scrivi sul Corriere della Sera – a meno che tu non abbia la prima pagina – combatterai con le altre firme del quotidiano e il tuo titolo dovrà riuscire a rubare attenzione agli altri articoli presenti sullo stesso quotidiano.
Analogamente quando sei in prima pagina su Google combatti con gli altri nove risultati. In quel momento il contesto è quello. La capacità di comprendere il contesto in cui siamo è fondamentale e i giornalisti hanno imparato da subito a inserire dei forti generatori di attenzione.
Possiamo imparare anche dall’informazione delle grandi testate online perchè tutti ogni giorno abbiamo a che fare con questi siti e in alcuni casi riusciamo a essere soddisfatti entre in altri ne usciamo altamente insoddisfatti.
Ad esempio ci sono alcune testate su cui non clicco più perché è più forte la dose di nervoso che il beneficio che ne ottengo. Rispettare le aspettative create è una regola fondamentale che possiamo fare nostra nel Content Marketing e che anche nell’informazione funziona perfettamente.
Ovvio che possiamo imparare molto anche dai business online. Una cosa che sanno fare i business online come gli e-commerce è quella di proporci prodotti e servizi senza vergogna in maniera circostanziata e nel nostro interesse. Perché vendere, quando l’attività è profilata, è nell’interessa del cliente, ma vendere quando è push a tutti i costi, indipendentemente da quelli che sono i tuoi bisogni, diventa solo un fastidio.
Da consumatore voglio comprare ciò che mi interessa e se hai la capacità di suggerirmi prodotti che mi interessano sei tu che fai un favore a me.
Ecco questa è una cosa che gli ecommerce di successo fanno molto bene.
Da Amazon in giù o anche da da Netflix in giù queste attività sono consuetudine.
Tante volte in aula o in consulenza mi viene fatta un’obiezione “ma se comunichiamo in questo modo sembra che vogliamo vendere qualcosa…”.
Questa perplessità esprima in maniera precisa la distorsione della mente umana: imprese che hanno come finalità la vendita evitano di mettere in campo azioni di vendita per la paura che qualcuno possa pensare che stanno vendendo.
Certo che vogliamo vendere! È l’obiettivo finale, ma il vero problema non è quello di apparire come l’azienda che “vuole vendere”, ma farlo senza aver prima fatto qualcosa per “guadagnare” interesse e fiducia e farlo senza la capacità di contestualizzare, il problema della vendita è tutto qui.
Il livello di fiducia che abbiamo nei confronti di alcuni e commerce non esisterebbe senza i contenuti, ma da cosa nasce la fiducia? Quel livello di fiducia nasce sicuramente dalla nostra esperienza diretta e indiretta, come dalla riprova sociale generata dai contenuti che abbiamo visto nelle recensioni del sito ecc.
Quindi è sempre un equilibrio molto delicato. È chiaro che c’è una componente di informazione ed è chiaro che c’è una componente di divulgazione. A queste si aggiungono una componente strategica che è in grado di generare traffico, di alzare l’attenzione al massimo.
Poi esiste il discorse delle leve argomentative. Ne esistono tantissime di leve argomentative e alcune sono più forti di altre.
Definire le proprie leve argomentative significa rispondere alla domanda: di cosa parliamo?
È la domanda che l’azienda si pone quando apre il canale YouTube o quando apre il blog
Argomenti di cui l’azienda non vuole parlare
Alcune delle leve argomentative che funzionano di più sono rappresentate da tutta quella serie di argomenti di cui l’azienda non vuole parlare. Ogni azienda sa bene che ci sono degli argomenti di cui dovrebbe parlare, ma di cui non vuole parlare. È così che si finisce per fare una comunicazione alla Wikipedia che non infastidisce nessuno e in buona sostanza non dice niente di significativo restando carente di informazioni per la paura che la concorrenza possa trarne vantaggio, ma qual è il risultato?
Un contenuto che non interessa a nessuno.
Questa è la realtà.
Quindi, la prima leva argomentativa è fatta di tematiche scomode, quelle che passano nella mente del cliente quando si siede di fronte a voi ma che per pudore e per educazione non vi farà mai.
Ad esempio ciò che si chiede ogni cliente che sta per vendere o comprare casa è “perché devi prenderti il 3% di questa transazione?”
Il problema è che questa domanda continuerà a farsela e per tutta la vostra trattativa resterà alla ricerca di una soluzione perché non trova risposta a non vuole accettare quella realtà.
È chiaro che se non ci sono alternative alla fine la accetterà, ma se ci fossero alternative alla prima via di fuga andrebbe altrove.
La verità è che di risposte logiche plausibili e convincenti per rispondere alla domanda sul 3% o per rispondere a qualsiasi altro dubbio ce ne sono tantissime.
Quindi sappiamo che esistono queste perplessità, ma preferiamo non dare risposta e quindi le direttive in azienda sono di questo tipo “meglio non trattarlo questo argomento se il cliente non dice niente”, ma lui – il cliente – non chiede niente non perché se ne sia dimenticato, ma perché è difficile dirti in faccia certe cose.
Online però le cose cambiano e possiamo agire eliminando tutte quelle convenzioni che fanno parte del mondo offline.
Ad esempio, se inizi a spiegarmi la storia della tua azienda e siamo faccia a faccia, anche se alla seconda parola capisco che quell’argomento non mi interessa, io ti ascolterò comunque fino alla fine (per educazione e per rispetto mi comporterò così), ma se sono sul tuo sito e leggo la storia della tua azienda alla prima incertezza, al primo momento di noia ti saluto e passo a Gazzetta online. Lo faccio liberamente perché non devo darti spiegazioni.
Ora, se vogliamo fare Content Marketing, o questa realtà impariamo a gestirla trovando forma e sostanza per trattenere le persone sul nostro sito, oppure non avremo successo perché ogni cliente deciderà se leggere o meno e lo farà libero da tutte le convenzioni sociali che dominano il mondo offline.
Quindi, mutuare la nostra esperienza offline perché vediamo che “il cliente sorride e annuisce” quando gli raccontiamo qualcosa non funziona: il cliente sorride perché è educato, ma se potesse scappare lo avrebbe già fatto.
Questa è la verità che ognuno di noi deve mettersi in testa.
Possiamo verificarla grazie a strumenti semplici come Google Analytics, controllando il tempo di permanenza sulla pagina. È chiaro che quando una pagina che richiede 4 minuti per essere letta mostra un tempo di permanenza medio di 7 secondi qualcosa non va nelle argomentazioni e nei contenuti. Fare una prova è semplice, basta un contenuto che tratti un’argomentazione scomoda per vedere se la risposta cambia. Tutte quelle tematiche che sono scomode e che non vogliamo trattare dal vivo sono ottime per questo test.
Inoltre, per la teoria del contrasto, sono contenuti doppiamente perfetti perché tutti i vostri competitor non ne parlano.
Argomenti che sensibilizzano il cliente
La seconda leva argomentativa è composta da tutte quelle tematiche che hanno a che fare con la sensibilizzazione e con l’orientamento.
Tematiche che in qualche modo ci vedono “evangelizzare” su un determinato argomento. Ad esempio, se il nostro lavoro è vendere depuratori d’acqua, tutte le tematiche che non hanno a che vedere con le caratteristiche tecniche del nostro depuratore, ma che riguardano il ruolo dell’acqua nella nostra vita – dal bere, al mangiare, al lavarsi – sono perfetti per sensibilizzare il cliente sul ruolo che occupa il depuratore d’acqua. Il nostro lavoro è quello di fotografare una situazione ideale ancora sconosciuta al cliente in cui si possa vedere chiaramente cosa comporti utilizzare dell’acqua trattata con un depuratore e in che modo questo impatterà sulla sua vita.
Questa leva argomentativa non piace alle aziende perché fa pubblicità anche alla concorrenza: di fatto promuove un mercato e non un prodotto specifico. Ed è proprio così che deve funzionare. La sensibilizzazione è su un comportamento del consumatore e non sul prodotto. Infatti non dice “sono bravo e faccio ecc ecc” ma trasmette un messaggio che suona come “nel tuo interesse, queste sono le opportunità che derivano da un’acqua depurata ecc ecc”.
Perché bisogna sensibilizzare?
Perché se lui fosse già interessato al depuratore d’acqua passeremo ad altre argomentazioni. La verità è che molti di noi lavorano in settori dove le persone non sono oggettivamente interessate. Se vendi un CRM non vendi le caratteristiche del CRM, vendi il fatto che un’azienda decida di usare un CRM per ottenere benefici, se vendi un depuratore d’acqua è la stessa cosa e così via. Con i cambiamenti che ci sono stati negli ultimi decenni, oggi sono poche le realtà che vendono il “Kg di zucchero” o il “litro di benzina”. Quasi tutti i business attraversano un momento di cambiamento dove è necessario sensibilizzare i clienti.Per questo il lavoro più grande che deve fare il Content Marketing non riguarda la descrizione del prodotto o del servizio, ma la sensibilizzazione.
Pensiamo ad esempio a come si è evoluto il mercato del cibo biologico: parlare di cibo biologico trent’anni fa era una follia nel senso che non c’era sensibilità da parte del consumatore. In tutti questi anni le aziende del bio hanno sensibilizzato e oggi per noi vedere un bollino bio sul cibo, sulla frutta e sulla verdura ha un significato diverso ed è comprensibile, ma questo dipende da un lungo periodo di semina fatta con i contenuti.
Se siamo arrivati a modificare la nostra scala di valori sull’alimentazione non è perché qualcuno ci ha mostrato la tabella comparativa con i valori nutrizionali del prodotto, ma perché siamo stati sensibilizzati sull’importanza di certi aspetti. È questo cha ha modificato e orientato la nostra capacità di giudizio e di scelta.
Per rispondere alla paura delle aziende che temono di aiutare anche la concorrenza con certi contenuti possiamo dire che la regola è semplice: se fai un contenuto di cui puoi beneficiare solo tu, probabilmente non stai facendo Content Marketing, stai facendo pubblicità tradizionale.
Come ottenere un vantaggio competitivo quando si aiuta la concorrenza?
Dobbiamo fare in modo che i contenuti facciano emergere le nostre unicità.
La terza leva argomentativa è la più debole ed è quella preferita dalle aziende. Risponde a richieste specifiche catalogabili nella sezione “come fare a“. Le cosiddette argomentazioni “how to”.
È una leva debole perché lavora su una categoria di persone che probabilmente si sono già fatte una loro idea e interveniamo senza modificare la loro visione ma rispondendo a un loro bisogno del momento. Potremmo dire che il consumatore in questo momento ha già una sua idea, ha già un quadro della situazione e il nostro contenuto si limita a fornire un piccolo tassello mancante.
Delle tre leve argomentative che abbiamo visto questa è da usare davvero col contagocce. Il rischio è di diventare trasparenti perché se affrontiamo tematiche stimolo risposta (come fare a) sarà molto difficile riuscire a dare personalità e credibilità alla nostra immagine. Saremo corretti e utili, ma verremo dimenticati facilmente perché si tratta di contenuti che non permettono di esprimere come vediamo le cose comunicando i nostri elementi differenzianti.
Detto questo, è anche giusto dire che questa terza tipologia di contenuti è solitamente quella che genera il traffico organico maggiore.
Di fronte ai numeri del traffico ricordo sempre che il nostro lavoro non è quello di avere un sito molto visitato, le visite sono sempre un mezzo per raggiungere l’obiettivo finale.
E qui torniamo al problema iniziale, quel famoso equilibrio che dovrebbe esistere tra contenuti che informano soddisfando la domanda del cliente e conversione.
La capacità di argomentare con tematiche scomode offre una prospettiva completamente diversa ai contenuti. Infatti, quando ti parlo di “verità” scomode che nessuno ha mai affrontato, guadagno interesse e fiducia in modo naturale perché è verosimile generare nel lettore quella sensazione che fa pronunciare parole come “io l’ho sempre pensata questa cosa ma non l’ho mai detta nessuno” o “finalmente qualcuno che dice le cose come stanno”.
Questo negli ultimi anni ha contraddistinto la comunicazione di successo in politica. Alcuni partiti hanno toccato tematiche scomode mentre la politica tradizionalmente era esattamente all’opposto, grigia.
È questo approccio apparentemente scomodo che permette di far emergere chi siamo e farci ricordare.
Ci permette di far emergere per contrasto che non siamo uguali agli altri e questo senza doverlo specificare, accade in modo naturale grazie alle nostre argomentazioni e al nostro stile comunicativo.
Quando però offriamo risposte preconfezionate, risposte veloci, pensate per rispondere a una domanda sterile, non ci faremo ricordare e non faremo Content Marketing perché in quel contesto non esistono proprio i presupposti per aggiungere una chiamata all’azione o un elemento di conversione che coinvolga l’utente.
Alla fine il lavoro del Content Marketing possiamo vederlo anche in questo podcast. Che cosa ho fatto oggi io con questo podcast? Non ho lavorato sulla terza leva argomentativa perché se avessi lavorato su quella leva, avrei costruito una puntata basata su domande e risposte tecniche. Oggi ho lavorato per sensibilizzare su alcune tematiche su cui c’è ancora poca consapevolezza e confusione. Inoltre ho lavorato anche su tematiche scomode.
*illustrazione di Cristiano Guerra per TheBrandDesigner.com
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